Mostrarsi attraverso il velo della finzione

“La verità ti fa male lo so” cantava  Caterina Caselli, a ricordarci quanto spesso temiamo  la sincerità. Eppure l’autenticità è un valore sentito, che coltiva lo stare insieme e alimenta la fiducia. Ma non è sempre facile essere sinceri. Proprio l’essere umano infatti  a differenza degli animali, possiede la capacità di fingere e di mentire.  L’esperienza ci suggerisce che questo  però non sempre costituisce un problema.  Quante volte in fondo per essere diplomatici ci si trova a comunicare qualcosa di diverso da ciò che si sente per affrontare  le relazioni e non esporsi troppo.  Diverso   è   quando si mente intenzionalmente per  un mero vantaggio personale, anche se a volte le differenze sono sfumate.

Ci sono invece persone che  spesso  inconsapevolmente celano i propri pensieri e sentimenti autentici all’altro.  Questa modalità costituisce una caratteristica del loro modo di porsi, che spesso le fa apparire finte ed artefatte. Nascondendo aspetti più spontanei di sé entrano in un ruolo artificioso,  ritrovandosi  come degli  attori su un palcoscenico immaginario.  Dietro le quinte vengono lasciati i vissuti che si discostano da un ideale che spesso si persegue o dalle aspettative di chi si ha di fronte. Nell’ombra rimane ciò che si sente veramente, per mettere in scena qualcosa che somiglia ad  una rappresentazione.  Più che di bugia parliamo allora di mistificazione, come se si indossasse una sorta di maschera  di compiacenza. Ci si mostra ma attraverso il velo di una recita, per rendersi  accettabili.

Ma cosa succederebbe se  gli aspetti negati emergessero ed entrassero in scena? Potrebbe affiorare  un senso di vergogna, nell’essere scoperti per come si è, sentendosi nudi.  Fingere equivale a proteggersi dunque, diventa uno scudo contro il giudizio altrui. Dissimulando sé stessi,  si evita di esporsi  all’altro, ma ci si illude inconsapevolmente anche di tenerlo vicino, adeguandosi a quelli che si immaginano essere i suoi desideri. In una sorta di incantesimo si diventa “come tu mi vuoi”, incontrandosi  in una zona sicura, lontana dal rischio di essere disapprovati . Come a sognare un legame fusionale ed indifferenziato in cui ripararsi. Rapportarsi  con un qualcuno di  diverso e  separato, evoca l’incertezza del confronto ed il fantasma del rifiuto. In questo modo  però  i rapporti  diventano difficili,  rischiando di perdere spontaneità e vitalità.

Infatti se la maschera da un lato  rassicura, allo stesso tempo può diventare una gabbia in cui non ci si muove più, atrofizzando lo scambio emotivo. Si vive in una sorta di doppiezza dell’essere, il vero da una parte e il finto dall’ altra, bloccati  in un  conflitto. Ma esiste davvero una verità   perduta da recuperare? O anche  la maschera è  espressione  di sé stessi? In fondo  la finzione è parte del proprio modo di essere e nel nascondersi  si mostrano comunque aspetti  di sé. Come luce ed ombra ,   anche le dicotomie rappresentano l’unità della persona, la sua identità fatta di sfumature ed ambiguità che si compongono  in un’immagine unica e complessa.

Dott.ssa Anna Consuelo Cerichelli

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