Veniamo da un anno difficile, la pandemia non è ancora alle spalle e si vorrebbe ricominciare a sperare nel futuro. Resta la percezione che qualcosa sia profondamente cambiato ed un incertezza accompagna l’esistenza , associata ad una paura del domani . Alcuni più di altri hanno vissuto un senso di malessere, deprimendosi , sentendo di non farcela ad andare avanti. La delusione è un sentimento prevalente nella depressione. Questo disagio è dato da una sorta di male di vivere che assorbe la persona e la avvolge in un senso di impotenza. L’umore non è solo triste, si spegne, tratteggiando la vita di apatia. E’ come se mancasse l’energia e si restasse bloccati in un immobilismo paralizzante. Pensieri negativi e pessimistici occupano la propria mente “sono un incapace.. non ce la posso fare.. verrò rifiutato”. La vita non sembra più come prima o non è come si sarebbe desiderato, qualcosa va irrimediabilmente storto.
A differenza del processo del lutto nel quale può essere elaborata una perdita , nella depressione la percezione di una mancanza permane, come se fosse congelata. Se nel lutto la sofferenza può passare e diventa possibile sperimentare un desiderio verso altro, nella depressione invece resta un vuoto e ci si ritrova imbrigliati ad un’ assenza. Questo legame mortifero nutre la sensazione che nulla cambi, nulla si evolva. Il tempo in cui si vive diventa quello del passato, come se il presente non offrisse più alcuna possibilità. L’orizzonte è quello del rimpianto, di ciò che poteva essere e non è stato, le cose non corrispondono a ciò che ci si aspettava. A volte un’ immagine ideale avvolge i desideri e più è grande, maggiore è il rischio di una delusione e la tentazione di svilirsi di fronte alle mancanze proprie ed altrui. Allora di chi è la colpa? “E’ colpa mia, profondamente mia”, sente spesso inconsciamente chi è depresso. Ma la critica rivolta a sé ne nasconde un’altra, per ciò che si è perduto o che non c’è mai stato. La colpa abbatte il proprio desiderio, che sparisce così come è sparito ciò che non si è potuto avere.
Oggi come oggi sempre più spesso si riscontrano depressioni dove più che un senso di colpa, prevale invece un sensazione di vuoto e di vergogna, un vissuto di fallimento per non essere capaci, performanti come si vorrebbe. In questo conflitto la delusione verso la realtà sembra quasi sparire, restando sullo sfondo di un dialogo solitario con il sé ideale. Soprattutto tra i giovani si osserva inoltre un disinvestimento generale verso la vita, come se il desiderio implodesse in una demotivazione globale e una chiusura verso il mondo circostante. Sembra che la depressione contemporanea sia legata ad un conflitto tra azione e inibizione, dove l’agire corrisponde ad una continua valutazione del proprio valore. Da un lato la società post-moderna chiede continue dimostrazioni di capacità, dall’altro le possibilità di mettersi alla prova sono così numerose da mettere la persona in scacco , in un impossibilità di decidere quali strade percorrere. In tal senso la postmodernità nutre nell’uomo l’illusione di una libertà infinita, che inevitabilmente si accompagna ad una continua delusione.
In fondo tutti gli investimenti sono potenzialmente a rischio di fallimento, soprattutto quando richiedono uno sforzo prolungato nel tempo, un confronto con i propri limiti. Un’ aspettativa di sconfinata potenza spesso accompagna la nostra società, che più che familiarizzare con l’”assenza” vagheggia il sogno di un eterna presenza, di cose, relazioni, esperienze. Ecco che invece la pandemia ci ha riconfrontati violentemente con la precarietà, che accompagna da sempre la vita “normale”, per quanto la società consumistica cerchi di celarla o rimuoverla. Perché se come afferma il filosofo Edgar Morin “ogni vita è un avventura incerta”, è nel prendere atto della finitezza dell’ esistenza che possiamo riconoscere il nostro valore, nonostante le inevitabili mancanze e delusioni.
Dott.ssa Angela de Figueiredo
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