Come sarà mio figlio? Si chiede la futura mamma in attesa di abbracciare il proprio bambino. Accanto alla gioia e alla curiosità possono emergere però timori di non essere all’altezza, paure verso il futuro , un senso di malessere diffuso. A volte nel post partum si affacciamo queste ombre, lasciando il passo alla demotivazione , pensieri depressivi ed un senso di fatica . Tutti si aspettano una felice neomamma, mentre lei attraversa crisi di pianto immotivate ed un senso di vergogna ed inadeguatezza. Tale stato è ciò che viene definito ‘Baby Blues’, un disagio lieve e transitorio che attraversano molte donne (circa il 70-80%) e che tende a sparire nel giro di poche settimane. Ma a volte questo malessere non passa, anzi come un vortice aumenta e ci si sente sempre più assorbite da pensieri negativi, quasi infastidite dal proprio bambino e distaccate emotivamente da lui, fino a non aver più voglia di fare nulla, avvolte da apatia e tristezza. In questo caso parliamo di Depressione post partum, condizione che può durare diversi mesi e che coinvolge circa il 10-15% delle mamme.
Ma cosa succede nella vita di alcune donne, perché questa problematica emerge proprio rispetto ad un cambiamento come la maternità? Diventare madre significa accogliere e nutrire un altro essere che ha bisogno di attenzioni, che dipende da te e che chiede la tua dedizione. E questa situazione risveglia antiche memorie, il proprio essere state figlie, il rapporto con i genitori a cui appoggiarsi. Un legame che se ancora troppo carico di ambivalenze, può condizionare il passaggio alla maternità , per cui prendersi cura e nutrire a propria volta un altro rischia di diventare un compito a cui non ci si sente pronti. Come si fa ad occuparsi di qualcuno che ha bisogno di accudimento se a livello profondo si è ancora annodati ad un legame a cui appoggiarsi totalmente, senza la fiducia di poter contare anche su se stessi? Il presente e il nuovo futuro fanno da eco ad un passato che ancora si fa fatica a trasformare, che probabilmente si teme possa sparire.
Dietro la depressione post partum si nascondono paure spesso negate, come non poter più recuperare il tempo in cui si poteva essere dipendenti, mentre oggi ci si sente sole e senza risposte di fronte ad una vincolante responsabilità. Questo senso di solitudine senza appigli spesso trae linfa dall’aspettativa inconscia di un legame totalizzante col proprio figlio, che potrebbe risucchiare la propria vita e richiedere una presenza esclusiva. Come se si dovesse dare al bambino quella dedizione assoluta che in fondo ancora ci si aspetta dai propri genitori. L’evento della nascita sembra sgretolare quelle illusioni a cui inconsapevolmente ancora si era attaccati e rende palese in modo drammatico, che è necessario fare i conti con il proprio essere state figlie e con il legame idealizzato con i propri familiari.
Questo cordone invisibile spesso viene negato a se stesse, celato dietro un manto di iperefficienza e apparente autonomia. Infatti sono proprio le donne più orientate al fare da sole, che si rifugiano in una illusoria autosufficienza, quelle che tendono maggiormente ad andare incontro ad una depressione post partum. Dover fare tutto da soli in un modo un po’ onnipotente, spesso costituisce il rovescio della medaglia del desiderio di un accudimento illimitato. Infatti fare esperienza insieme all’altro dei propri bisogni, corrisponde ad esporsi alla reciproca incompletezza, confrontandosi con la propria fragilità e desiderio di legame, ma anche con la necessità di essere autonomi e separati. Il travaglio del parto possiamo leggerlo come momento simbolico in cui inizia una nuova relazione, tra due persone unite ma separate al tempo stesso ed il taglio del cordone ombelicale metafora di questo processo. Il bambino nasce e respira per la prima volta, ma anche la mamma attraversa il suo rito di passaggio, rinascendo come genitore.
Dott.ssa Anna Consuelo Cerichelli
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