Aspetti relazionali nella diagnosi di disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) nell’ infanzia

Per un bambino con disturbo da deficit di attenzione ed iperattività l’esperienza quotidiana è spesso un’altalena di emozioni, difficoltà e sollecitazione agli stimoli.  La diagnosi di ADHD è sempre più comune nell’infanzia e si basa su evidenze neurologiche, ma è fondamentale considerare anche gli aspetti relazionali che l’accompagnano. Questo equilibrio tra biologia e esperienza soggettiva , ci invita a riflettere su come  tale disturbo può filtrare il modo in cui il bambino percepisce la realtà e le  relazioni.   Da un lato l’ADHD porta con sé una maggiore disattenzione e impulsività, caratteristiche che possono avere un impatto significativo sulla vita scolastica e sulle relazioni interpersonali.  Va considerato allo stesso tempo che  ognuno  vive il disturbo attraverso la lente della sua personalità, del contesto sociale, emotivo e culturale di cui fa parte. 

Proviamo ad immaginare un bambino in perenne movimento, con la mente  che viaggia in direzioni inaspettate ed i pensieri che  sembrano sfuggire al suo controllo. Dalla sua prospettiva  la scuola con le lunghe ore di necessaria attenzione diventa una vera sfida, in cui ogni tentativo di restare concentrato può apparire un’impresa titanica. La disattenzione infatti può portare a un continuo passaggio da un’attività all’altra, lasciando molte cose incompiute e ad una difficoltà a seguire richieste più complesse. Inoltre l’iperattività e la continua necessità di essere in movimento, faticando a restare fermi in un luogo, contribuisce a far sentire la vita scolastica più impegnativa. Il processo di apprendimento richiede infatti un certo coinvolgimento ma per il bambino con un disturbo da deficit di attenzione e iperattività l’incertezza e la paura di sbagliare possono connotare l’esperienza scolastica in modo ansioso e innescare altri conflitti.

Queste difficoltà infatti possono influire negativamente sul rendimento, creando una reazione a catena per cui diventa sempre più  difficile tollerare le frustrazioni nello studio,  tanto da  cercare gratificazioni più immediate.  Anche nelle interazioni con gli altri emergono  reazioni impulsive, che possono spiazzare adulti e coetanei, portando a situazioni di isolamento e rinforzando l’immagine di un bambino che disturba. In modo paradossale questa situazione potrebbe rappresentare anche un tentativo per attirare l’attenzione e sentirsi visto e compreso. Il bambino sembra così trovare  una soluzione, sebbene non funzionale,  al suo sentirsi escluso ed ignorato.  In questo senso possiamo pensare come certi comportamenti legati al disturbo costituiscano anche delle comunicazioni complesse,  portatrici di  un tumulto interiore e di una difficoltà a gestire le relazioni.  E’ inoltre fondamentale tenere presente quanto le interazioni tra il bambino e le persone a lui vicine si influenzino a vicenda. Ad esempio un genitore che si trova spesso a fronteggiare il comportamento iperattivo  del figlio, può sentirsi molto affaticato e reagire a sua volta in modo poco funzionale, creando un circolo vizioso di malintesi e sofferenza.

Sebbene l’ADHD non sia un disturbo nuovo, negli ultimi anni sembra essere notevolmente aumentato. In un’ epoca caratterizzata da stimoli incessanti e dalla cultura della prestazione, l’iperattività sembra aver trovato terreno fertile.  In questo panorama di sfondo, risuona l’importanza di rimettere il soggetto al centro ricordando l’unicità di ciascuno nell’organizzare l’esperienza e il proprio mondo interno. La diagnosi  se è utile per orientare lo sguardo, costituisce  anche  un punto di partenza per una comprensione più profonda della realtà sfaccettata del bambino. Polarizzarsi infatti su singoli aspetti  o prendere una parte per il tutto implicherebbe  una semplificazione che può portare a stereotipi, generalizzazioni e incomprensioni.  Attraverso una visione complessa del soggetto e delle  traiettorie possibili del suo sviluppo, è possibile invece favorire l’inclusione ed  il riconoscimento della specificità  del bambino nella sua diversità.

Dott.ssa Margherita Rosa

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