Pensando agli adolescenti viene subito in mente il gruppo come habitat naturale, terreno di sperimentazione per una diversa autonomia e consapevolezza di sé. Stare in gruppo significa potersi riconoscere negli altri, condividendo motivazioni e paure, per cercare sicurezza e sostegno nel processo di crescita tra pari. Per l’adolescente il bisogno di sentirsi speciale si unisce all’esigenza di trovare delle similitudini, far parte di qualcosa, cercando la propria identitàal di fuori della famiglia. Diventa fondamentale allora ritrovarsi in uno spazio fisico e mentale per condividere la propria visione del mondo e vivere insieme nuove esperienze. Il luogo di incontro reale o virtuale diventa sacro nello scandire il tempo, definendo l’appartenenzae creando un senso di coesione.
Ma a volte accade che il gruppo si amalgami identificandosi maggiormente con aspetti disfunzionali come la violenza, per ottenere potere e riconoscimento. L’adolescenza infatti spesso porta in sé i semi dello spaesamento e della confusione e l’uso della forza può apparire come un modo per gestire i timori legati al processo di costruzione identitaria. In un clima di insofferenza condivisa può nascere allora un’azione stupefacente ed aggressiva, che accende l’anima in una sorta di eccitazione collettiva. In questi casi è come se il gruppo fosse catturato da un progetto attraverso cui realizzare una fantasia di potere che accomuna i membri. Rubare uno scooter, scatenare una rissa, fino ad arrivare allo stupro, diventano allora sfide di cui nutrirsi, mentre il successo ottenuto può alimentare il desiderio di ripetere l’azione per sentirsi invincibili.
Si può immaginare allora la funzione di questi comportamenti come una sorta di antidepressivo, per nasconderea se stessi e agli altrile proprie fragilità e il senso di vuoto. Ma questa funzione può diventa pericolosa, perché ci si può assuefare alle azioni eccitanti che devono avere un carattere di sempre maggiore eccezionalità. E’ importante avere in mente che spesso nella banda la paura e l’ansia per le conseguenze delle proprie azioni si attenuano, tanto da sentirsi quasi esonerati dal senso di responsabilità. Rispecchiandosi e identificandosi con gli altri ci si sente più forti, arrivando ad ignorare i limiti propri e della realtà. Diventa fondamentale allora chiedersi cosa spinga degli adolescenti a questi comportamenti poiché nelle loro storie si potrebbero nascondere motivazioni complesse e conflitti con cui non si riesce a fare i conti. La banda può diventare infatti un rifugio per sfuggire inconsciamente all’angoscia dei propri limiti, ad un senso di vuoto, di inadeguatezza. Come se attraverso questa appartenenza si potesse trovare un rimedio ai conflitti legati al processo di ridefinizione di sé, che passa per lo svincolo dai genitori e la ricerca di nuovi investimenti. A questa soluzione si accompagna l’aspettativa che attraverso il sopruso e l’intimidazione si può acquisire un’identità solida e una consistenza.
C’è da sottolineare che di episodi di violenza sono piene le cronache e che attraverso i media ed i social, vengono continuamente mostrate situazioni di comportamento aggressivo. Possiamo quindi chiederci quanto queste rappresentazioni possano fungere da modello di emulazione per gli adolescenti ed essere identificate come elementi di successo personale. Inoltre in una società sempre più dominata dall’individualismo, i sentimenti di appartenenza e di condivisione possono cedere il posto alla competitività e alla diffidenza nelle relazioni interpersonali. Diventa importante allora poter uscire dalla logica del “me contro te” come soluzione ai conflitti, veicolando il valore di relazioni cooperative, in cui la realizzazione della propria identità non si esprime nel dominio sull’altro, ma attraverso la ricerca di uno scambio reciproco e dialettico nelle relazioni.
Dott.ssa Margherita Rosa