La crescita per un bambino adottato è un percorso complesso, a volte travagliato. Vi è una frattura che divide la vita tra un prima e un dopo, un vuoto e un passaggio, tra la famiglia di origine e quella adottiva. Si viene e conoscenza dell’adozione e nello spaesamento si affaccia la domanda sulla propria nascita, per tracciare un filo che unisce presente e passato. “ E chi erano i miei genitori? Cosa è successo?”, può chiedere il bambino per capire ciò che è accaduto. Domande che rispondono al bisogno di dare senso all’esperienza di un’interruzione, per trovare una nuova appartenenza. Ma a volte questi interrogativi non trovano una risposta, come quando ad esempio non si ha nessuna informazione sull’identità dei genitori biologici. E così la questione della nascita, del senso di perdita e del non sapere si intrecciano, attivando sentimenti dolorosi ed incertezza.
L’adozione nasce infatti da un abbandono, un’esperienza di rottura e di perdita. Separarsi dal genitore biologico sancisce un’interruzione della relazione primaria, si accompagna ad un lutto da elaborare durante la propria vita. Resta nella mente del bambino l’assenza di un’origine senza spazio né tempo, di un legame che non si è potuto conservare. Dopo un’esperienza così destabilizzante come ritrovare fiducia e consolazione in legami alternativi? Essere adottati, conoscere i “nuovi” genitori significa affrontare uno stravolgimento della propria vita che genera disorientamento e il timore di un nuovo abbandono. Il viaggio con il quale si lasciano fisicamente i luoghi, le persone, gli oggetti, le esperienze delle origini costituisce concretamente e simbolicamente il momento di un passaggio significativo. Cambia il contesto di vita e mutano le abitudini, a volte le tradizioni, la lingua, nuovi profumi, sapori e colori.
Mi tornano alla mente le parole di L., un adolescente che ricorda quando da bambino andò via dalla casa famiglia per essere adottato “sentivo che tutto stava per cambiare, non sapevo bene dove sarei andato, lasciare tutto quello che conoscevo, verso cosa?”. A volte accade che il bambino porti con sé un bagaglio di esperienze complesse e dolorose, difficili da decodificare con le quali si troverà in seguito a fare i conti. Vissuti ancora intraducibili possono emergere attraverso crisi di rabbia, rifiuto, apatia. Il prima e il dopo possono sembrare storie scollegate, incompatibili o antagoniste. Nella difficoltà ad integrare due appartenenze genitoriali il bambino può essere combattuto tra amore e risentimento, desiderio e rifiuto. I genitori naturali e quelli adottivi possono essere tenuti separati nella propria mente o vissuti in competizione tra loro, per salvaguardarne l’immagine.
Integrare il prima e il dopo in una continuità temporale è un’operazione tortuosa e complessa anche per i genitori. Il senso della mancanza accomuna entrambi, da una parte il bambino ferito, privato di legami fondamentali, dall’ altra due genitori che spesso vivono l’esperienza di un figlio biologico mai arrivato. La relazione adottiva nasce e si sviluppa dunque intorno ad una cesura a cui dare significato, che va digerita ed elaborata all’ interno del rapporto. Affiorano ombre, domande profonde senza risposte, rispetto alle quali si troverà un proprio modo di dare senso all’esperienza vissuta, stabilendo nuove connessioni lì dove c’era un vuoto. Attraverso i ricordi si potrà mantenere un legame con un tempo perduto, da rielaborare diversamente. Con l’aiuto dei genitori, potranno man mano prendere forma memorie reali e immaginarie di una vita precedente, per gettare un ponte attraverso cui guardare al nuovo e al futuro in continuità con il passato.
Dott.ssa Margherita Rosa
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