Si parla spesso di adolescenza come un periodo caratterizzato dal cambiamento, una zona di passaggio che traghetta la persona verso l’età adulta. Ci si comincia ad individuare, a costruire diversamente un senso si sé in relazione agli altri, si iniziano a delineare i contorni della propria identità. Questa elaborazione è resa possibile sia dalle trasformazioni corporee della pubertà, che da un accesso maggiore al pensiero simbolico. E’ proprio durante questa fase che giunge a maturazione l’autocoscienza, ovvero quella capacità che consente al soggetto di cogliersi nel proprio divenire, di essere cosciente del proprio modo di rapportarsi a sé stesso e al mondo dal punto di vista affettivo e cognitivo . L’adolescente si trova quindi alle prese con un lavoro di soggettivazione e di attribuzione di significati personali all’esperienza. In questo processo ci si confronta con delle questioni legate all’ infanzia, che da un lato si vorrebbe relegare al passato, dall’altra costituiscono un bagaglio che non sparisce del tutto ma si trasforma. Gli adolescenti sono chiamati a rivedere questi aspetti costruendo delle risposte su di sé al contempo diverse da quelle genitoriali.
Questo passaggio richiede un tempo, poiché le relazioni con i genitori sono profondamente strutturanti, caratterizzate da una serie di aspettative reciproche con i figli che contribuiscono a rinforzarne il legame. Forse quindi più che di separazione dal mondo infantile è ottimale parlare di un’ integrazione, attraverso la quale i ragazzi si sperimentano anche in un’ interazione nuova con la realtà. In questo processo da un lato essi rivendicano e perseguono mete e scoperte nuove, dall’altra si trovano sotterraneamente a lottare con le rappresentazioni e le identificazioni che li legano ai genitori. La possibilità di superare questo passaggio è correlata alla capacità che mostra il sistema familiare di accogliere queste variazioni. Le difficoltà sorgono infatti quando risulta troppo destabilizzante per la famiglia introdurre elementi di cambiamento, perché sembra che mettano profondamente in crisi l’ identità dei diversi membri. In queste situazioni potrebbero emergere dei segnali di disagio, che indicano che questa transizione viene vissuta come una lotta tra due dimensioni dicotomiche: o differenziarsi significa saltare nel vuoto ed annullare il legame, o si deve rinunciare ad individuarsi permanendo in una relazione indifferenziata. In questi casi i ragazzi potrebbero sentirsi schiacciati da un senso di malessere, a volte silenzioso, altre più manifesto.
Allo stesso tempo potremmo dire che la difficoltà di rielaborazione non riguarda solo i figli ma anche i genitori. Entrambi infatti potrebbero essere spaventati dal dover mettere da parte una sere di aspettative reciproche, che hanno rappresentato un cemento rassicurante per la relazione, lasciando spazio ad aspetti nuovi che sembrano perturbanti. A differenza del genitore però l’ adolescente si trova forse veramente per la prima volta a pronunciarsi su di sé, a chiedersi profondamente chi è, dovendo tollerare l’incertezza di un percorso esistenziale. Ciò significa cominciare a fare i conti anche con quegli aspetti disfunzionali di sé ai quali si rimane aggrappati , che ostacolano il divenire della propria identità. La crisi adolescenziale può essere quindi ripensata come espressione di un’oscillazione tra continuità e cambiamento, che il soggetto si troverà a fronteggiare durante tutta la vita. In questa fase però si ha una plasticità maggiore rispetto all’adulto, il quale invece rischia di restare più bloccato in una serie di risposte rigide ed assolutizzate. Ecco allora che l’adolescente può guardarsi scegliendo chi essere e prima che qualche aspetto di sé gli diventi troppo stretto, ne può trovare più facilmente un altro da indossare per il futuro.
Dott.ssa Angela de Figueiredo