La frontiera incerta nell’incontro con il migrante

Quando incontriamo un migrante che arriva nel nostro paese in cerca di ospitalità possiamo avere diverse reazioni, come la curiosità, lo spaesamento o il timore.   Potremmo chiederci che relazione può nascere con una persona proveniente da un’altra cultura e se è  possibile un incontro, cercando intanto di comprendere chi è il migrante e in che modo è arrivato fino a noi.  In ogni emigrazione c’è un progetto di vita nato e pensato altrove, in cui la persona con la propria storia e con delle aspettative attraversa uno spazio ed un tempo, per approdare nella realtà di un paese spesso diverso ed incomprensibile.  Il transito migratorio non è rappresentato solo dal viaggio, ma è un processo di trasformazione che nasce con il percorso di emigrazione e prosegue nel paese di arrivo, attraverso un travaglio identitario spesso difficile.

Il migrante che approda ed inizia la sua nuova vita nel paese ospitante vive sospeso tra due mondi, uno passato altrove e uno nuovo, presente e sconosciuto. Spesso non si riconosce in una realtà dove si parla un’altra lingua con una cultura e delle abitudini completamente diverse. Il nuovo mondo infatti fa riferimento a valori e codici differenti dai propri, difficili da comprendere e in cui è faticoso identificarsi.  Il divario tra la propria esperienza e la percezione della nuova realtà fa sì che il migrante si senta vulnerabile, fragile e spaesato. Spesso è difficile poter pensare ad una mediazione tra la cultura di origine e quella nuova poiché il migrante potrebbe non riconoscere quest’ultima come un arricchimento per un progetto di vita migliore. Questo lo  può portare a chiudersi ed irrigidirsi nelle proprie convinzioni e modalità culturali, sentite come unico modello identitario a cui poter fare appello.

Allo stesso tempo, l’incontro è complesso poiché le persone dei paesi ospitanti non sempre riescono ad assumere un atteggiamento di reale accoglienza. Da una parte infatti vi è il desiderio di aiutare la persona in difficoltà e di comprenderne la storia e le situazioni; dall’altra spesso ci si aspetta che l’altro sia riconoscente per averlo aiutato a fuggire da condizioni critiche e  che si comporti coerentemente con le aspettative o con le regole della propria cultura. Spesso accade che il migrante invece agisca in modo non comprensibile o non conforme al proprio pensiero e  ci si  l’arrocca sui pregiudizi e sulla chiusura, sul timore che il diverso costituisca una minaccia. A volte l’ ospitante oscilla tra il desiderio di confrontarsi e aprirsi all’alterità e il timore che questo possa mettere a rischio la propria sicurezza  e stabilità ,   sentendosi  invaso dalla presenza di persone così diverse da  sé con cui non  si sa come entrare in rapporto.

Osserviamo come quindi nell’incontro a volte si rimane reciprocamente intimoriti dalle differenze e si fa fatica a pensare che possano essere anche un arricchimento, tendendo a chiudersi in una visione del mondo univoca che è quella che ci si è costruiti nel tempo per non sentirsi destabilizzati. Ma come potrebbe invece nascere una relazione in grado di trasformare la diversità culturale in un dialogo? L’incontro con la diversità, considerando che anche noi siamo diversi per l’altro e non solo l’altro per noi, può avvenire quando è possibile andare oltre le reciproche rigidità e leggere dei segnali di apertura, valicare quel confine a volte ostile, che ci si è costruiti.  Aprirsi all’alterità corrisponde a mettere da parte le certezze abituali ed incuriosirsi verso ciò che non si comprende. Possiamo immaginare il terreno di un possibile incontro come un luogo con delle frontiere incerte, in cui è possibile decentrarsi dalle proprie convinzioni e modalità radicate e lasciarsi attraversare dall’incertezza vissuta come una ricchezza.

Dott.ssa Anna Consuelo Cerichelli

 

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