Bullismo, cyberbullismo, abuso di potere. Questioni all’ordine del giorno che sentiamo spesso e che si portano dietro un’eco minaccioso, soprattutto per chi ha un figlio adolescente. Il bullismo lo ritroviamo infatti tra i ragazzi e ci mostra un lato nascosto ed oscuro delle relazioni, in cui chi vuole apparire più forte se la prende contro chi è più fragile, prevaricando ed usando la forza. Questo abuso di potere si manifesta in diversi modi, che vanno dalle intimidazioni alle aggressioni verbali e fisiche. Ultimamente si sente frequentemente parlare di cyberbullismo, che è che una forma meno nota dello stesso fenomeno. Nel cyberbullismo il web diventa il nuovo palcoscenico garantendo molta popolarità poiché irrompe nelle nostre case e permette di restare nell’ombra attraverso l’anonimato garantito dalla rete. Ci si ritrova quindi in uno spazio dove la comunicazione e le relazioni si sviluppano da un impasto tra il reale e il virtuale. Non serve essere grandi navigatori nella rete per trovare filmati di insulti, di portatori di handicap picchiati, ragazze riprese in bagno, ad opera di ragazzi che si divertono a mettere in difficoltà persone indifese.
Il mezzo tecnologico diventa la maschera con cui entrare in scena, assumendo identità diverse. Ci si sente legittimati a compiere qualsiasi gesto, sotto i riflettori della platea senza poter essere riconosciuti. L’illusione di essere potente si amplifica, come quella di non avere alcuna responsabilità. La rete sembra cosi un’eco silenzioso, che disinibisce pensieri e comportamenti, amplificando la portata delle azioni violente. Colui che subisce si ritrova esposto al senso di vergogna ed umiliazione, poiché gli attacchi si possono diffondere in uno spazio sconfinato.Al di la del mezzo utilizzato, le sopraffazioni lasciano dei segni, ferite spesso invisibili ma profonde. Se è più naturale empatizzare con la sofferenza di chi viene bullizzato, va riconosciuto che anche i bulli nascondono un malessere silenzioso attraverso i loro gesti. Dietro questi comportamenti infatti può esserci un desiderio di ammirazione, di essere riconosciuti e raggiungere una visibilità. D’altronde in adolescenza il rapporto con il gruppo è fondamentale e diventa la palestra attraverso cui modellare la propria soggettività. Cosi con la maschera del forte e cattivo, si cerca di nascondersi, di evitare di fare i conti con la propria insicurezza, trovando un nemico a cui contrapporsi per rinsaldare un’identità fragile e precaria.
La vittima diventa allora il bersaglio su cui proiettare tutto ciò che inconsciamente non si vorrebbe essere. Ciò che metterebbe in discussione la propria apparente forza sembra minaccioso e per questo va allontanato, distrutto. A un livello più profondo rappresenta la parte debole di sé intollerabile, da umiliare ed eliminare. Sentimenti di incompletezza, fragilità e vulnerabilità vengono così tenuti nell’ombra e compensati da esperienze che concedono un inebriante sentimento di potere. Dall’altra parte chi viene aggredito spesso vive una sorta di soggezione e di sofferenza psicologica, aggravata dalla difficoltà a chiedere aiuto. Sopraffatti da paura e senso di impotenza, ci si sottomette alla volontà dell’aggressore identificandosi con ciò che ci si aspetta da sé. Sia il bullo che la vittima il più delle volte condividono uno stesso terreno di sofferenza seppure orientato in direzioni antitetiche. La violenza esercitata e subita si nutre infatti di sogni delusi, bisogni frustrati, esperienze relazionali deludenti. I bulli si abituano quindi a nascondere la loro fragilità, attraverso una maschera che diventa corazza. A volte non si riesce più a distinguere ciò che si cela dietro l’armatura, che come una fortezza preserva il proprio equilibrio. Ma se la corazza si rompe, ci si può rispecchiare dentro lo sguardo fragile dell’altro, per ritrovarsi complici anziché nemici.
Dott.ssa Margherita Rosa
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