I recenti eventi legati al coronavirus ci hanno portato a dover restare in casa potendo uscire solo per determinate necessità. Questa è stata una scelta difficile poiché per la maggior parte delle persone la reclusione non corrisponde ad una condizione desiderata. Ci si è comunque chiusi nelle proprie abitazioni per combattere la diffusione del virus, sperimentando una riduzione della socialità, delle proprie abitudini e dello spazio di movimento. Non sarà stato facile, poiché improvvisamente ci si trova in un ambiente ridotto, anche se la reazione dipende molto dal proprio modo di essere e dalla situazione relazionale e socioeconomica in cui ci si trova. Eppure anche nelle più rosee prospettive, tale cambiamento unito alla paura del contagio potrebbe rendere le persone più ansiose, spaventate, arrabbiate. Pur sapendo razionalmente che si ritornerà alla normalità, a volte ci si potrebbe sentire intrappolati in questa situazione, come se sembrasse senza fine.
Anche se questa percezione è principalmente legata all’emergenza che stiamo vivendo, le sensazioni che si provano sono molto simili a quelle che sperimentano le persone che soffrono di claustrofobia, ovvero la paura degli spazi chiusi. Tale fobia nasce in relazione a quei luoghi da cui sembra di non poter più uscire e che quindi la persona cerca di evitare (ascensori, tunnel, stanze chiuse o affollate, aerei, file..). Nella claustrofobia la caratteristica dell’ambiente provoca un senso di oppressione e di ansia, con la paura di perdere il controllo e trovarsi impotenti di fronte ad un pericolo. In realtà il timore di ritrovarsi bloccati in uno spazio ridotto esprime vissuti conflittuali che la persona tiene chiusi dentro di sé. Questi sentimenti possono riguardare l’aspettativa di rimanere incastrati nelle relazioni, che spesso sono percepite come invischianti. Lo spazio diventa opprimente, poiché le relazioni sembrano soffocanti, in quanto si sente di dover aderire completamente all’altro senza la possibilità di libertà nel rapporto.
Anche se molti non hanno mai sofferto di questo disturbo, la condizione psicologica che stiamo vivendo in questi giorni può sollecitare una percezione claustrofobica. Non è facile dover stare giorni e giorni chiusi nella propria abitazione non potendo uscire, a stretto contatto con i familiari o in una situazione di solitudine. Spesso poi si deve lavorare anche da casa, per cui l’ambiente sembra restringersi ulteriormente. Per alcuni tutto ciò potrebbe sembrare insostenibile, con il prevalere di un senso di angoscia e la sensazione di sentirsi rinchiusi come in una prigionia. Se però questi vissuti diventano pervasivi potrebbero essere il segnale di conflitti che erano presenti anche prima, ma di cui non si riusciva a prendere atto, avendo avuto fino ad allora delle vie di fuga. Potrebbe essere che in realtà dietro l’ansia di non poter uscire, si nasconda la paura di restare inglobati nelle situazioni ed il timore di perdere la propria autonomia nelle relazioni. Come se l’unico modo per sentirsi liberi fosse quello di andare fuori, fuggire altrove. Vivere costantemente con un senso di oppressione può rendere più doloroso questo periodo, soprattutto se si immagina che durerà ancora per un certo tempo.
Tali vissuti potrebbero però costituire anche un segnale, per chiedersi come mai ci si sente cosi stretti nella propria vita, nei legami o nel lavoro. Per quanto tempo si sono portati avanti rapporti di coppia oramai incistati solo grazie a vite parallele, che permettevano di non dover mettere in crisi la relazione? Quanto fino ad ora si è potuto gestire il rapporto con i figli, solo grazie ad una adeguata distanza che riparasse dal timore della dipendenza? Infine, cosa può significare per chi si era protetto sempre attraverso la solitudine, sentire senza gli altri un vuoto assordante? Forse prima del coronavirus, queste ed altre situazioni sono state difficili da affrontare, come se non ci potessero essere dei margini di libertà . In realtà è proprio attraverso l’ emergere di questi conflitti, che si può anche ritrovare una chiave dentro di sé, per uscire dalle strettoie e rimodulare le relazioni.
Dott.ssa Angela de Figueiredo