Un taglio e poi il sollievo. La lametta che incide la carne e al contempo scioglie le emozioni, lasciando traccia di una sofferenza inaffrontabile. E poi le maniche lunghe, i jeans anche d’estate a coprire tutto. E’ questa la drammatica esperienza di ragazzi e ragazze che ricorrono all’ autolesionismo in adolescenza attaccando il proprio corpo, utilizzato come narratore di conflitti e difficoltà profonde. Da un dolore accecante e inespresso si può passare a tagliare, incidere, bruciare la pelle per convogliare lì la sofferenza. Così al posto delle lacrime e delle parole, fluisce il dolore fisico e la sensazione di alleggerimentodalle tensioni . Sappiamo quanto possa essere impegnativo attraversare l’incertezza dell’adolescenza, un periodo di profonde trasformazioni identitarie e di nuove responsabilità. Può non essere facile confrontarsi con il senso di inadeguatezza e lo spaesamento, legati ad alcune esperienze difficili da affrontare. Ed ecco che si può ricorrere ai tagli come un rifugio, per tacitare un malessere che sembra insostenibile.
Attaccare il proprio corpo appare come una soluzione paradossale, per cui sperimentando il dolore fisico viene arginata temporaneamente una sofferenza emotiva più profonda. Il corpo diventa una sorta di strumento magico, in grado di trasformare un vissuto perturbante in una lacerazione esteriore tangibile. Ferirsi dà così l’illusione di un sollievo, a volte addirittura euforico, che consente di riprendere fiato. Tagliarsi può essere anche un modo perpercepire di esistere ed essere vivi: meglio un dolore fisico che non sentire niente o sentirsi vuoti, inutili, invisibili. In questi casi l’autolesionismo può costituirsi come soluzione per riprendere il controllo su se stessi e superare il senso di impotenza. Spesso questo gesto autodistruttivo è impastato di rabbia, vergogna o sensi colpa, legati ad esperienze dolorose. I segni e le cicatrici lasciati dai tagli racchiudono quindi una sofferenza negata, per la quale non si è ancora trovato un significato. Il corpo diventa così luogo del non detto e di ciò che non può essere pensato. E il taglio sulla pelle si trasforma in un messaggio per ricordare a sé stessi ed agli altri la propria esperienza, come a lasciare traccia di ciò che si sta vivendo. Con le ferite nascoste o esibite l’adolescente sembra infatti comunicare la sua mancanza di speranza, ma insieme tentare in modo ambivalente di fermare lo sguardo sul proprio corpo, come espressione principale di sé.
E’ importante ricordare che attraverso la pelle entriamo in contatto con gli altri e ci differenziamo. E’ intorno a questa terra di confine tra interno ed esterno, che avvengono le esperienze primarie dello sviluppo. Non stupisce allora che in questo periodo di profondi cambiamenti la pelle possa diventare teatro di rappresentazione del dolore. Ma cosa farne della sofferenza? In che modo trasformarla in senso evolutivo? Nel taglio l’unica via sembra quella di inciderla sul proprio corpo, per guardarla e contemporaneamente silenziarla. Il dolore diventa una realtà concreta, un segno che però resta muto. Ma è nel cogliere il senso profondo di quella traccia che possiamo appropriarci del suo significato e interrogarci su cosa rappresenti. La sofferenza allora può essere elaborata, aprendo intorno ad essa delle domande. Potrebbe affiorare la percezione che farsi male non è l’unica soluzione, che il dolore dietro quel taglio può essere invece condiviso con qualcuno, che forse una ferita può essere risanata e trasformata. Tante le questioni dietro quel segno che potrebbero farsi strada, aprendo una via per rimettersi in cammino.
Dott.ssa Margherita Rosa
Vieni a trovarci nella nostra sede di Via Colle di Mezzo, nel quartiere Laurentino a Roma Eur; un nostro psicoterapeuta saprà aiutarti attraverso uno spazio di consulenza psicologica e di psicoterapia per problematiche di autolesionismo in adolescenza